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MENO LEZIONI FRONTALI, PIÙ PROBLEM SOLVING: IL FUTURO DELLA SCUOLA

Ci sono due parole che caratterizzano il linguaggio popolare nei momenti di sconforto, ma che molti adolescenti utilizzano, in particolare, per rappresentare la scuola: «Che palle!».

Un simpatico, ma anche fastidioso refrain temuto da noi adulti, perché lo interpretiamo come l’anticamera del disimpegno e dei disastri scolastici. Ma queste due parole segnalano, soprattutto, la sofferenza nel seguire ore e ore di lezione frontale. Per ingurgitare, nell’arco di una sola giornata di scuola, quattro o cinque materie, con la presentazione di saperi preconfezionati in capitoli, paragrafi e note varie. A volte con una tale fretta, giustificata dai vincoli dei programmi ministeriali, ma in netto contrasto con la possibilità di assimilare quel «cibo-sapere» che, essendo rigidamente predisposto da altri, risulta, il più delle volte, «indigesto». Immagino l’obiezione: «Si può imparare, maturare, assumere responsabilità, diventare adulti senza fare fatica?». Non bisogna confondere, soprattutto parlando di scuola, la fatica con la sofferenza. La fatica è un tratto fondamentale delle azioni umane e può coniugarsi con la passione, l’interesse e la curiosità. La sofferenza, invece, richiama il disagio e, quindi, una condizione che non consente la possibilità di apprendere. È possibile, allora, immaginare una scuola diversa?

Una scuola, ad esempio, con meno materie e più attività di ricerca?
Le materie sono tutte importanti? Lo sono per i docenti detentori di quella determinata cattedra. Non per gli studenti. È così difficile valorizzare discipline nelle quali riusciamo a esprimere spiccate attitudini e mettere, almeno un po’, sotto traccia altre più
«indigeste» senza essere perseguitati all’infinito?
Una scuola con una riduzione significativa delle lezioni frontali. Se i neurofisiologi sostengono che la nostra attenzione è limitata a pochi minuti, perché non utilizziamo, considerando la capacità del nostro cervello di organizzare e immagazzinare le informazioni provenienti dall’esterno, mediatori didattici diversi, più basati sulle esperienze e sulle ricerche? Metodi e strategie cruciali per favorire l’apprendimento. Una scuola con un diverso sistema di valutazione. Quello attuale, in molti casi, è inaccettabile. Folle. Invece di rimotivare gli adolescenti, spesso, li ferisce mortalmente. Sono certo che una diversa organizzazione scolastica potrebbe ottimizzare le competenze degli insegnanti e i talenti degli adolescenti. L’indagine Excelsior 2012, a cura dell’Unioncamere, ha registrato le competenze più richieste da oltre 100 mila aziende del settore privato per i diplomati e i laureati: sapere lavorare in gruppo. Problem solving. Flessibilità e adattamento.
Relazionarsi con i clienti. Poiché negli ambienti di lavoro, in diversi casi, verifichiamo una non linearità fra i titoli formali e le competenze, non è il caso di mettere da parte sovrastrutture di tipo ideologico, politico, sindacale per costruire una scuola che sappia
valorizzare le eccellenze senza relegarci, in termini di abbandono scolastico, nelle posizioni di coda fra i 27 Paesi europei e cioè al 24˚posto? Forse, con una maggiore onestà intellettuale, dovremmo riconoscere che l’attuale organizzazione scolastica è più funzionale a un sistema di cattedre che alla possibilità di accompagnare, sostenere e far crescere, in un percorso formativo, le ragazze e i ragazzi delle nuove generazioni.